3 mettere limiti, un problema nella vita con bambini Penso che tutte le mamme si pongano questa domanda: dove e quando è giusto dire di NO al proprio figlio.   Quante volte ho sentito chiedermi, ma adesso devo dire di Si’ o di No.   Viviamo questa insicurezza, la paura di ferire, di far soffrire i nostri bambini che naturalmente tutti i  genitori, mamme, papà, nonni, zii, adulti non vogliono. Non sappiamo quali sono i limiti giusti e quando  metterli, altrettanto sappiamo anche che non tutto è bene permettere che fa altrettanto male per le più  svariate motivazioni. Vorremmo dire di No perché sentiamo che i bambini invadono gli spazi degli adulti,  turbano l’armonia dell’ambiente, la nostra quiete oppure sentiamo che qualcosa, una situazione, un  alimento o qualcuno, una persona invadente reca danni al bambino. Nel caso del rischio di un danno fisico  è abbastanza evidente per noi e riusciamo a vedere facilmente le eventuali conseguenze nocive. Diventa  invece più difficile quando dobbiamo riconoscere se un ambiente, un’azione, una persona potrebbe causare  un danno emozionale, per non parlare dei danni mentali di cui abbiamo un vastissimo campo di  osservazione nella nostra società.  Nelle scuole, nelle famiglie, nei corsi possiamo osservare che l’adattamento del bambino all’ambiente ed  alle regole coniate dall’adulto ha priorità rispetto ad un’evoluzione interiore secondo natura e che tanti  adulti non siano consapevoli e non abbiano conoscenza di cosa sia uno sviluppo non invasivo che possa  svolgersi armonicamente.   Nel nostro mondo prevalgono interessi economici, il potere del più forte, la competizione nell’avere la  posizione ed il ruolo migliore.  Un ambiente perché sia adatto per uno sviluppo buono del bambino deve permettere anzi stimolare  l’avvenuta di processi umani interiori autentici per persone in crescita.   A tutt’oggi non siamo ancora riusciti a creare un mondo dove la cooperazione e la compassione sono  predominanti come qualità di una personalità e facciano parte del vissuto quotidiano. In tal modo anche il  rispetto per processi naturali e veri farebbe parte della relazione tra adulto e bambino. Potremmo vivere la  collaborazione tra le generazioni dove uno aiuta l’altro invece di vivere situazioni dove uno lavora contro  l’altro.  L’adulto potrebbe considerare il bambino come il suo maestro Zen. Potrebbe riconoscere nella convivenza  con il bambino la sua opportunità di rivedere le ferite della sua propria infanzia ed elaborarle insieme a  lui, usarlo come specchio che gli riveli i propri punti ciechi. Con consapevolezza potrebbe rivivere i traumi,  prenderne la distanza emotiva dalle invasioni nelle sue membrane, subite nella propria infanzia, membrana  emozionale e quella intellettuale, per metterle a posto. La decisione di creare e lavorare dentro una  relazione non direttiva con nostro figlio, accompagnarlo con amore e rispetto durante la sua interazione  individuale alla scoperta del mondo sarebbe invece l’occasione per noi adulti di risanare le nostre ferite,  prima come genitori, poi abbiamo un’altra opportunità come nonni a rivedere i nostri problemi e concetti,  ed armonizzarli. Questo ci permette di entrare in un percorso rilassato e piacevole nel godere la vita come  processo semplice, lineare e gioioso verso un’evoluzione sempre più ampia ed estesa.  Altresì quando noi adulti riconosciamo che è possibile guarire le nostre membrane, fisica, emotiva,  intellettuale ed energetica, il contatto e la convivenza con il bambino vengono vissuti con un’altra  colorazione. L’amore naturale del genitore verso il proprio figlio, dell’adulto verso il bambino si trasforma  in compassione per lui e comprende che non può realizzarsi attraverso il successo del bambino. Capisce che  vantarsi di aver insegnato, di aver organizzato, di essersi preso la responsabilità del percorso del bambino  lo ha fatto perdere di vista il suo proprio percorso, lo sviluppo dei propri talenti latenti. E questo crea  insoddisfazione e tristezza interiore che si ritorce contro l’adulto ed inquina la sua relazione con il  bambino. Il bambino a sua volta se deve soddisfare le aspettative del genitore, dell’adulto non riesce a  sviluppare tutto il suo potenziale, la sua auto-stima, la sicurezza perchè gli va a mancare l’esperienza  vissuta e sperimentata dentro la vita che parte dalla sua esigenza interiore che sempre gli dice cosa,  quando, come, con chi e perché deve  entrare in un percorso o in un’esperienza.   E così al posto della naturale capacità intuitiva, analitica e riflessiva, spesso nell’adulto cresce una paura  smisurata causata dall’insicurezza verso i processi evolutivi perché lui stesso non ha potuto viverli, la sua  paura dalle malattie, dallo sporco, dal freddo, dal piacere del bambino stesso nel gioire ed essere curioso  verso la vita. Una paura che crea la ricerca dell’adulto verso un’eccessivo controllo perché lui stesso non sa  come godersi la vita, come entrare in contatto con il proprio potenziale e di conseguenza non sa quali  limiti è bene mettere per il bambino per garantire il massimo sviluppo per esso a tutti i livelli, fisico,  psichico, mentale e spirituale.   Possiamo osservare quanto insiste una mamma perché il bambino indossi la sua giacca. «Ma non ho freddo»,  dice il bambino, «ma ti ammalerai», risponde la mamma. Allora quando il bambino può sperimentare il  limite del proprio corpo fisico? Gli Aborigini passano l’outback senza essere coperti, di giorno sotto il sole  cocente e non si scottano, di notte dormono senza coperta, riescono controllare la propria temperatura  corporea perché da piccoli hanno potuto allenare questa capacità. Adesso noi adulti frequentiamo corsi per  imparare a camminare sui carboni ardenti e riacquistare quell’abilità di dominare il nostro corpo fisico  invece di essere dominato da lui con i suoi mali piccoli e grandi che ci appesantisce la nostra vita  quotidiana. A causa della mancata conoscenza di come vivere con maggiore spessore alla scoperta di tutti i talenti  nascosti che però ha un vago sentore che ci siano ma non riesce sfruttarli, l’adulto va in cerca di colmare  questa sensazione di vuoto comprando........vestiti, casa, macchina, moto, biciclette, viaggi, rilassamento  dalla parrucchiera, nella palestra, attività sportive senza mai fermarsi.  Il bambino invece segue il modello d’imperativo dei genitori, degli adulti, non riesce a sviluppare la sua  consapevolezza di chi è e di chi non è.  Possiamo vedere che la mancata conoscenza del Sé porta il bambino a vivere a 40 anni ancora a casa, non  se la sente di prendersi la responsabilità per creare un’esistenza propria e formare un nucleo familiare  proprio.  Un’interrelazione naturale, non direttiva tra adulto e bambino invece guarisce le ferite dell’adulto ed aiuta  la formazione delle membrane sane, ben stabili e consapevoli del bambino. In questa maniera può avvenire  un distacco graduale e naturale tra adulto e bambino. L’adulto sperimenta svariate forme dello stare  insieme, trova e sperimenta giocosamente cosa gli fa piacere e rimane aperto per ascoltare cosa fa piacere  al bambino. Riesce ad analizzare senza il peso delle vecchie credenze non riflettute, senza essere  coinvolto, senza identificarsi con le proprie emozioni e senza essere in balia del proprio corpo fisico a  causa di malattie le condizioni e la situazione della propria vita per poi progredire verso soluzioni  costruttive sia per se stesso e il bambino che per tutto l’ambiente in cui vive, la società, la Terra.  N O T I Z O I A R I Saper          dire                 di                      NO